Meditazioni in anticamera, di Guadalupe Grande.

 

Liverpool non esiste.

Questo sa la donna che si siede dietro i vetri dell’aeroporto a veder passare il fiume Mersey,

un fiume che assomiglia alla misericordia ma lungo il quale non risaliranno i salmoni: non arriveranno al torrente, non attraverseranno il tunnel dell’orso, non deporranno uova sulla cieca obbedienza delle bussole.

Perché Liverpool non esiste, sul fiume Mersey galleggia il guscio di noce in cui naviga il suo dente da latte.

Galleggia la matriosca, incinta di sé stessa, galleggia ancora e ancora fino alla sua ultima bambola, minimo racconto d’infanzia, infinito racconto della sublimazione.

Galleggia l’ala dell’albatro e sorvola il gabbiano e la cera di Icaro è adesso ruggine nel limo.

Dall’altro lato del canale, sul fiume Mersey, galleggia lo scarabeo della vita sui denti del gatto del Cheshire, vale a dire, una foglia sopra la sua ombra, un cerino nel vuoto della fiamma, una piuma nel guscio, e la sua vita in una carta senza bottiglia.

Poco importa ormai che Liverpool non esista.

Chi ha messo un piatto di latte al gatto, chi ha saputo vedere l’albero all’ombra della foglia e non dargli fuoco, e chi raccoglierà l’inchiostro con la piuma del merlo che qualche volta attraversò un giardino, chi per scrivere dove, per scrivere cosa.

E galleggia il souvenir africano, splendore della pietra che oggi è rovina, pelle nuda in transito che qui si converte in luminosa vertigine degli indumenti.

Ma questo legge lei oggi nel fiume Mersey, e si chiede chi ha avuto misericordia delle caviglie, chi delle pupille degli gnu dove abitavano le gazzelle, dei fiumi che straripano dal loro letto. Colui che si è messo il cappotto e ha attraversato la città che non esiste.

Questo guarda oggi nel fiume Mersey. Alla fine, tutto ciò che non esiste è una mappa dell’altra sponda.

Per questo, oggi, Liverpool non esiste, dall’altro lato dell’acqua. Dall’altra parte del vetro.

 

Traduzione italiana di Sara Piazza.

 

MEDITACIONES EN LA ANTESALA

 

Liverpool no existe.

Eso sabe la mujer que se sienta tras los cristales del aeropuerto a ver pasar el río Mersey,

un río que se parece a la misericordia pero por el que no subirán los salmones: no llegarán al arrollo, no atravesarán el túnel del oso, no desovarán sobre la obcecada obediencia de las brújulas.

Porque Liverpool no existe en el río Mersey flota la cáscara de nuez en la que navega su diente de leche.

Flota la matrusca, embarazada de si misma, flota una y otra vez, hasta su última muñeca, mínimo relato de la infancia, infinito relato de la sublimación.

Flota el ala del albatros y sobrevuela la gaviota y la cera de Ícaro es ahora herrumbre en el limo.

Al otro lado del canal, en el río Mersey, flota el escarabajo de la vida en los dientes del gato de Chesire, es decir, una hoja sobre su sombra, una cerilla en el hueco de la llama, una pluma en el cascaron, y su vida en un papel sin botella.

Poco importa ya que Liverpool no exista.

Quién le puso un plato del leche al gato, quién supo ver el árbol en la sombra de la hoja y no prenderle fuego, y quién recogerá la tinta con la pluma del mirlo que alguna vez atravesó un jardín, quién para escribir dónde, para escribir qué.

Y flota el souvenir africano, esplendor de la piedra que hoy es ruina, piel desnuda en tránsito que aquí se convierte en luminoso vértigo del ropaje.

Pero eso lee ella hoy en el río Mersey, y se pregunta quién tuvo misericordia de los tobillos, quién de las pupilas de los ñus en las habitaban las gacelas, los ríos que desbordan su cauce. Quien se puso en abrigo y atravesó la ciudad que no existe.

Eso mira hoy en el río Mersey. Al fin, todo lo que no existe es un mapa de la otra orilla.

Por eso, hoy, Liverpool no existe, al otro lado del agua. Al otro lado del cristal.

 

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