« Un giorno di gloria è questo per la patria! Chi ne dubita? “Incendiare il villaggio è stata una dolorosa necessità politica”, spiega solennemente il nunzio della santa e eroica impresa. Questa è la guerra! »
Il Tempo, 11 settembre 1908.
« Un giorno di gloria è questo per la patria! Chi ne dubita? “Incendiare il villaggio è stata una dolorosa necessità politica”, spiega solennemente il nunzio della santa e eroica impresa. Questa è la guerra! »
Il Tempo, 11 settembre 1908.
« Ho trovato questi due articoli, quello di Giuliano Bonacci del Corriere della Sera del 10 settembre 1908 e la sua lettura critica da un giornalista del Tempo il giorno successivo, nelle carte di Luigi Robecchi-Bricchetti presso l’archivio storico di Pavia. L’esploratore, tornato definitivamente dalla Somalia nel 1904, ha ritagliato i due articoli e li ha evidenziati con una matita blu. Nei suoi libri, ha spesso condamnato il principio di una colonizzazione militare, illudendosi sulla possibilità di una colonizzazione strettamente economica, fatta di scambi tra colonizzatori e colonizzati. Nel 1903, c’erano in Somalia solo 13 italiani e Angelo del Boca la definisce una “colonia di carta”. Cinque anni dopo, la realtà della conquista si fa sentire. Il maggiore Di Giorgio, responsabile della distruzione del paese, diventerà tenente generale durante la prima guerra mondiale e ministro della guerra di Mussolini, dal 1924 al 1925. »
Olivier Favier
« Dopo il mio arrivo a Reporter Senza Frontiere, nel 2004, una volta conosciuta l’Eritrea e le sue battaglie, ho avuto la certezza immediata, intuitiva, di avere scoperto una Terra Ignota, uno di quei luoghi inesplorati di cui un tempo sognavo . Non se ne parlava da nessuna parte, nessuno sapeva rispondere alle mie domande. Il non-luogo assoluto, in effetti invisibile, la vera utopia, la terra rossa dimenticata da tutti tranne che dai suoi figli! Guardavo le fotografie dei prigionieri di settembre 2001, che il mio predecessore aveva inserito nei dossier che mi aveva lasciato. Quegli uomini avevano dei visi simpatici, nomi poetici, destini brevi ed avventurosi falciati con violenza. Una geografia dell’inconscio si è disegnata. Ho cominciato a volergli bene. Poi da questa fantasticheria iniziale, man mano che incontravo famiglie di detenuti, gli evasi da poco, i vecchi torturati, i complici del dittatore, la realtà mi è apparsa nella sua gravità, nel suo lato sordido, nelle sue piaghe, insomma nella sua sostanza. Era troppo tardi, ormai facevo parte della famiglia. Avevo sentito a mia volta l’Eritrea fare del male, anche a me. Ero nella storia. »
Léonard Vincent