Molti vedono in lui il più grande attore italiano. Toni Servillo nasce in una famiglia popolare di Afragola, a pochi chilometri da quello che viene chiamato da un decennio a questa parte il « Triangolo della morte » quella immensa zona della Campania devastata dai rifiuti tossici. È cresciuto nell’amore per un teatro che, come ama ricordarlo, non è solo parte integrante della vita quotidiana e di un modo di essere che anima le strade partenopee, ma rimane anche l’espressione più compiuta di una cultura rigogliosa, storicamente una delle più ricche di tutta l’Europa. All’inizio dell’Ottocento, Stendhal identificava due capitali artistiche: Londra e Napoli. E, aggiunge Toni Servillo con un sorriso, questo grande scrittore francese non menzionava Parigi.
Per quanto riguarda il dopoguerra, vengono inevitabilmente in mente Totò e Edoardo de Filippo, due miti italiani indiscussi. A Napoli, ci spiega Toni Servillo, c’è ancora un popolo, un sentimento di appartenenza che si è perso in quasi tutte le altre città della penisola. Qui il popolo canta, si esprime e protesta, come l’ha fatto per secoli. Da questo punto di vista, solo Palermo regge il confronto. Palermo che, non a caso, è l’altra città della grande tradizione italiana del teatro, quella dei pupi e di Pirandello.
La sua passione per la scena, la deve ai suoi genitori-spettatori. Da giovanissimo, Toni Servillo crea la propria compagnia a Caserta, che si unirà nel 1987 – quando ha appena 28 anni – a quelle di Antonio Neiwiller e Mario Martone: insieme fondano i Teatri Uniti. Cinque anni dopo, gira sotto la direzione dello stesso Mario Martone il suo primo film Morte di un matematico napoletano. In seguito, ne realizzeranno altri quattro insieme.
Ma il successo cinematografico nasce da una collaborazione con un altro regista nato ai piedi del Vesuvio, Paolo Sorrentino, anche se di undici anni più giovane di lui. A partire da L’uomo in più nel 2001, condividono insieme una delle avventure più significative della rinascita del cinema italiano. Da un punto di vista prettamente critico, La Grande Bellezza (2013) non ne è l’espressione migliore in assoluto ma, oltre al successo nelle sale, in parte dovuto all’effetto specchio con i classici ai quali si richiama come La dolce vita, 8 e ½ e Roma di Fellini, il film ha anche ricevuto il Golden Globe ed è stato selezionato per l’Oscar 2014 come miglior film straniero. Se l’Italia rimane ancora oggi il paese più premiato dalla giuria hollywoodiana, e il secondo per numero di selezioni dopo la Francia, è la prima volta in otto anni che presenta un film in finale. L’ultimo premio risale a quindici anni fa. Chissà quanto tempo ci vorrà prima di poter apprezzare in pieno quest’ultimo film di Paolo Sorrentino per il modo in cui descrive la nostra epoca, e non solo alla luce degli autorevoli riferimenti sopra citati… perché una cosa è certa: il personaggio di Jep Gambardella, così come incarnato da Toni Servillo, non ha niente da invidiare alle interpretazioni di Marcello Mastroianni. Il 15 gennaio 2014 al teatro Bobigny di Parigi, alla prima delle Voci di dentro di Eduardo de Filippo, di cui dice di essere solo il « primo attore » – intendiamo qui il ruolo principale e il regista – Toni Servillo ha appreso da uno degli spettatori l’esistenza di una nuova moda parigina, la « Jep attitude »: una forma di « cinismo sentimentale », che rimanda in qualche modo al vecchio anarchismo di destra degli anni 50, fantasma magnificato di un dandismo sterile e senza uscita, di cui alcuni scribacchini di oggi tracciano a fatica una pallida caricatura. Ma per Jep Gambardella, e qui sta tutta la differenza, l’amore dura trent’anni.
Osannato a teatro, che considera ancora e sempre il suo mestiere principale e dove continua a dare circa duecento rappresentazioni l’anno, Toni Servillo ha conquistato il grande pubblico italiano e internazionale nel 2008 con il successo incrociato di due film di rilievo: Il Divo, di Paolo Sorrentino, dove interpreta il ruolo di Giulio Andreotti, e Gomorra, di Matteo Garrone, ispirato al libro di Roberto Saviano. Le due opere sono accomunate da un approccio frontale ai mali della penisola: nel primo, si tratta del sistema politico creato dall’ala destra della Democrazia Cristiana attorno ad una delle sue figure più torbide quanto « inossidabili », e nel secondo del clima deleterio nel quale una Camorra onnipotente mantiene Napoli e la sua periferia. Il secondo film ha influito molto sul rinnovato interesse mediatico, purtroppo passeggero, per il succoso traffico dei rifiuti di cui parlavamo sopra.
Nel 2010, Toni Servillo interpreta un personaggio complesso. Quello del ristoratore e buon padre di famiglia italiano immigrato in Germania, raggiunto dal proprio passato criminale. Una vita tranquilla di Claudio Cuppelini è probabilmente uno dei migliori film noir di questi ultimi cinque anni.
Dopo Giulio Andreotti, Toni Servillo ha interpretato altre due volte il ruolo del politico. Nella Bella addormentata (2012) di Marco Bellocchio, fa le veci di un ex dirigente del partito socialista diventato senatore del Popolo della libertà. Il film affronta il dibattito sull’eutanasia attorno alla vicenda di Eluana Englaro e la lotta del padre durata diciasette anni prima di ottenere nel febbraio del 2009 di porre fine al suo stato vegetativo. In questa fiction costruita attorno ad un fatto realmente accaduto, il senatore immaginario attraversa una crisi di coscienza e finirà per votare a favore dell’eutanasia, contro la linea ufficiale del partito. In quel periodo, il cosiddetto centrodestra aveva in effetti tentato di ottenere il sostegno di un Vaticano divenuto molto critico di fronte alle bravate sessuali del Cavaliere, opponendosi “moralmente” alla richiesta di Beppino Englaro.
In Viva la libertà! di Roberto Andò, tratto dal suo romanzo Il trono vuoto (Bompiani, 2012) di cui ha curato lui stesso l’adattamento, Toni Servillo incarna il leader di un partito del centrosinistra, un personaggio dai contorni austeri che richiama la personalità di Pier Luigi Bersani. Di fronte ad una sconfitta senza precedenti nei sondaggi, a pochi giorni dalle elezioni egli sceglie di scomparire senza lasciare la più minima traccia. Quando la sua cerchia scopre che ha un fratello gemello, con il quale ha perso ogni contatto da 25 anni – un filosofo maniaco-depressivo, autore di un libro importante – gli fa indossare per qualche giorno i panni dell’introvabile politico. Questi si presta al gioco lasciando però libero corso ad una fantasia vincente quanto gioiosa. Il tono è indubbiamente quello di un apologo o di un racconto volterriano. Per l’interpretazione di questi tre ruoli – quello dei due fratelli e quello della sostituzione dell’uno con l’altro, Roberto Andò non voleva altro che Toni Servillo. L’attore, da subito entusiasta, ci ricorda anche quanto il teatro è ricco di ruoli di gemelli, da Plauto a Kleist, e da Molière a Goldoni. A sua volta ha chiesto al regista di girare per prima le scene del filosofo, affinché l’euforia comunicativa che lo doveva animare non cadesse nell’istrionismo e la facilità. Solo successivamente dopo ha fatto nascere la depressione del leader contestato come se fosse il versante malinconico di un unico personaggio. Assecondato da Valerio Mastandrea – altra grande rivelazione del nuovo cinema italiano, qui all’apice della sua arte – Toni Servillo ha ritrovato in questo film il tono della commedia italiana e l’eleganza sottile di un Italo Calvino. L’ironia napoletana, dice, tentando di definirla, è una passione che prende le distanze. Nello specchio di un bar del quartiere Bastille, risulta difficile discernere quale Toni Servillo si presta al gioco della fotografia: l’uomo e l’attore si confondono, senza che si sappia quale dei due gira fra le dita il corto sigaro spento che non abbandona mai, e neppure se questo testimonia prima di tutto un passato da fumatore incallito o se invece rivela un presente leggermente febbrile, inafferrabile e ansioso. Non mangeremo mica qui, dice ai suoi collaboratori, è troppo fighetto, preferisco i posti meno chic, più tradizionali.
Toni Servillo afferma di aver scelto la ventina di film che ha interpretato perché sedotto dalle loro sceneggiature. Gira per lo più d’estate, per continuare ad essere quello che rimane e vuole continuare ad essere: un instancabile attore di teatro, colui che con il suo lavoro assume di fronte al pubblico la responsabilità del testo che ha scelto di interpretare. Al cinema, secondo lui, la responsabilità finale appartiene al regista. In realtà, niente è meno sicuro. Di questo cinema in rinascita, ricorderemo Toni Servillo quanto i registi che lo hanno diretto, se non di più, esattamente come continuiamo ad ammirare, passato mezzo secolo, Vittorio Gassman e Marcello Mastroianni, Nino Manfredi e Gian Maria Volonté.
[Tradotto dal francese da Silvia Guzzi]
Approfondimenti in francese e in italiano:
- La rubrica Cinéma italien del sito On ne dormira Jamais di Olivier Favier.
- A chi esita, di Bertolt Brecht. Poesia letta nel film di Roberto Andò, Viva la libertà!
- Il sito di Bellissima films società di distribuzione che dal 2010 accoglie in Francia il miglior cinema italiano.
- Sul corpo di Giulio Andreotti, leggere l’articolo di Marco Belpoliti pubblicato il 7 Maggio 2013 su La Stampa, e poi sul sito Doppiozero.